Recensione: “Ogni storia d'amore è una storia di fantasmi – Vita di David Foster Wallace”, di D.T.Max
Einaudi, 2013, 503 pp.
Biografia fiume su uno
degli scrittori americani contemporanei più talentuosi, morto
suicida a soli 44 anni nel 2008 in seguito all'ennesima ricaduta
nella depressione.
Le sue opere “La
ragazza dai capelli strani”, “Considera l'aragosta” e il
monumentale “Infinite Jest” lo hanno fatto conoscere in tutto il
mondo, benché buona parte dei suoi lettori abbiano iniziato a
leggerlo per poi riporre il libro nello scaffale. Perché? Perché,
come scrisse un critico letterario a proposito di “Oblio”:
“Wallace ha tutto il
diritto di scrivere un grande libro che nessuno sia in grado si
leggere fuorché i suoi simili. Io mi illudo di essere uno di questi,
ma non ho la più pallida idea di come convincervi che lo siete anche
voi; e mi pare evidente che neppure Wallace sappia come fare. E forse
non sarebbe male se l'autore la prossima volta, quando il grande
romanzo numero tre lascerà la sua impronta su questa Terra, scavasse
più a fondo, ampliasse le ricerche, trovasse un modo più ingegnoso
per comunicare i suoi sentimenti”.
Il punto è che Wallace
era un vero genio. Cresciuto con due genitori accademici e una madre
fissata per la grammatica, la sua ricerca di uno stile nuovo e di
forme sconosciute di narrativa lo ha portato lontano, benché non
abbia lesinato anche sulle scopiazzature. D'altro canto era il primo
ad affermare che era capace di replicare alla perfezione lo stile di
qualunque scrittore defunto o vivente.
Buona parte della lettura
di questa biografia è stata per me un'agonia. Quando leggo di
artisti che sono divenuti famosi scrivendo, dipingendo, scolpendo
sotto abuso di farmaci, psico-farmaci, droghe e alcol lo percepisco
come un tradimento di tutte le Muse. Posso sbagliarmi (non sono una
Dea), ma so cosa si prova almeno quando si è immersi nell'estasi di
Bacco e di conseguenza, benché le reazioni cambino da soggetto a
soggetto, riconosco quanta facilità ci sia nello sciogliere la
lingua, creare associazioni di idee e produrre immagini, storie e
trame in quel contesto. E per me questo non è Uno dei modi di creare
Arte, ma una grossa scorciatoia.
Tuttavia il nostro
Wallace uscì da tutti gli abusi, eccetto da quello dello
psico-farmaco che lo teneva in vita, proteggendolo da una
“depressione biologica” e, da “Infinite Jest” in poi, la sua
produzione letteraria e saggistica è, diciamo così, “pura”.
Di lui ho letto solo la
raccolta di racconti “La ragazza dai capelli strani” e non mi ha
entusiasmata, perciò non so se inizierò altre sue opere, ma questa
biografia ha diversi pregi, tra cui quello di farci conoscere molto
della letteratura contemporanea a questo autore, del suo rapporto con
l'altro “mostro sacro contemporaneo” Jonathan Franzen, delle
riflessioni di entrambi sul panorama letterario e sociologico
americano e molto, molto altro.
Insomma, una lettura che
induce a molteplici riflessioni e, a mio avviso, prioritaria rispetto
a quella dei suoi romanzi e saggi. Trovo complicato comprendere
D.F.W. senza prima aver avuto almeno un'idea della sua formazione.
Siamo in due... ho letto soltanto "La ragazza dai capelli strani" e non sto facendo salti di gioia. In merito, invece, agli abusi sono d'accordo con te.
RispondiEliminaIl genio va al di là di 'ste cose, la "dipendenza" riguarda l'essere umano, non lo "scrittore", il "pittore" o quant'altro. Ci sono persone normali che si drogano e artisti che non lo fanno. Ci sono geni disordinati e geni ordinati... A me, infatti, dà pure fastidio sentire: "Gli artisti sono tutti disordinati...", ma dove sta scritto? Non è così!
Proprio così. Non c'è una regola, mentre l'abuso di sostanze stupefacenti o di alcol è sempre una scorciatoia per alcuni soggetti.
EliminaTuttavia è sempre stato così, i pregiudizi sul "chi è un vero artista" rimarranno (e magari se ne aggiungeranno altri ancora). Non c'è niente da fare.