Recensione: “E così vorresti fare lo scrittore” di Giuseppe Culicchia
Laterza, 2013, 154 pp.
Mentre scrivo queste
parole mi sbellico dalle risate. Perché? Perché in contemporanea
sto guardando la presentazione dello stesso saggio sulla trasmissione
di Rai Tre “Pane quotidiano”, condotta da Conchita de Gregorio
(22/10/2013):
Cosa mi fa ridere?
Il fatto che i ragazzi
del pubblico pongano allo scrittore le stesse domande che lui si è
visto fare in anni e anni di presentazioni e incontri con l'autore.
Domande che lui cita testualmente nel suddetto saggio.
Ma veniamo a noi. Ho
scovato questo libro in biblioteca mentre aspettavo che un'amica
terminasse di fotocopiare dei tomi per le sue ricerche. Mi ha
attratta la copertina, nonché il titolo del saggio, che è poi la
citazione di una poesia di Charles Bukowski. Ho iniziato a leggere e
a ridere, ridere, ridere.
Diciamocelo: il titolo
non è originale. Narra delle disavventure degli scrittori
contemporanei che passano da “Brillante promessa” (all'esordio),
a “Solito stronzo” (dal secondo al... centesimo romanzo), a
“Venerato maestro” (ci arrivano davvero pochissimi, sono quegli
scrittori che hanno raggiunto l'apice del successo, il Nobel o quasi)
e nemmeno questi soprannomi appartengono alla fervida immaginazione
di Culicchia, bensì al “Venerato Maestro” Alberto Arbasino.
Questo però non
significa che “E così vorresti fare lo scrittore” sia un testo
comico, farcito di citazioni trite e ritrite e di fatti già noti.
Tutt'altro. L'autore mette se stesso in prima fila, spiega la sua
esperienza: da giovanissimo appassionato lettore, a commesso di
libreria, a “Brillante promessa”, fino allo stato attuale, ovvero
quello di “Solito stronzo” (detto carinamente da parte mia,
perché le parole scelte, in realtà, sono sue).
Tutto quello che ricorda,
cita e scrive, è frutto della sua esperienza diretta e di decenni
trascorsi da un hotel all'altro d'Italia a presentare i suoi romanzi
durante interminabili colazioni con l'autore, cene con l'autore,
arrampicate in montagna con l'autore, ecc.
Ne esce un quadro
desolante, a mio avviso, dove emerge lo scrittore che se la tira, che
sa all'occorrenza praticare una massiccia dose di lecchinaggio e
paraculismo, nonché sottostare a regole da showbiz deprimenti.
Insomma, esattamente quello che va contro la mia natura. Mi sono
ritrovata infatti a ringraziare gli Dei dell'Olimpo e di tutti i
pantheon terrestri per non essere nata in una capitale, dove
l'entrata in un simile meccanismo sarebbe stata più semplice e
quanto mai naturale.
Parliamoci chiaro,
Natalia Ginzburg asseriva che “Gli scrittori il meglio di sé lo
danno sui libri, se vanno sempre in giro, i libri non li scrivono
più”. E cosa c'è di più vero? Come si può girare lo stivale per
massacranti tour promozionali, festival, vernissage, inaugurazioni di
nuovi locali, buffet, teatri, ecc e al contempo trovare il modo di
concentrarsi per ascoltare la propria Musa? E' pur vero che le
esperienze sono il pane della scrittura, ma al contempo è necessario
possedere del tempo per metterle su carta queste esperienze, dopo
dopo averle analizzate e fatte maturare dentro di sé quanto basta.
Cosa ne è poi della
franchezza, della capacità di comunicare tra individui
(scrittore-scrittore, scrittore-pubblico, scrittore-libraio) in
maniera schietta e sincera? Nel libro di Culicchia, togliendo i
giudizi pungenti, rimane la tristissima constatazione che il mondo
letterario ed editoriale per la maggior parte è fatto di apparenza,
arrivismo, ambizioni sfrenate, feroci stroncature create ad hoc
perché “una mano lava e l'altra e se io ti do una mano oggi, poi
tu ne darai una a me” e falsità.
Come può uno scrittore
vivere immerso in un ambiente del genere rimanendo fedele a se
stesso, continuando poi a scrivere con autenticità, analizzando il
quotidiano e la psicologia delle persone che lo circondano? Oh, sì,
certo, se sei Culicchia e scrivi questo saggio sei coerente eccome,
perché descrivi alla perfezione questi personaggi, ma se poi vuoi
riprendere la narrativa, ti limiti a queste tristi realtà?
No, decisamente no.
Sarebbe troppo limitativo.
Sono certa che l'autore
continuerà felicemente a scrivere alti romanzi. Nel frattempo, pur
nella sconcertante realtà presentata in questo saggio, lo ringrazio
di cuore per averlo scritto e vi consiglio di leggerlo, che siate
scrittori o lettori, perché comprenderete questo mondo culturale
italiano e starete ben più attenti la prossima volta che vi
accingerete a pregare il vostro Dio per diventare uno scrittore
famoso, o a entrare in una libreria avvicinandovi pericolosamente
agli espositori dei romanzi più famosi e in voga del momento, quelli
presentati la sera prima da Fabio Fazio o Irene Bignardi. Guarderete
tutto con occhi nuovi, ed è esattamente quello che serve a molti di
noi: una maggiore lucidità.
P:S Bravo Culicchia anche
quando dice che uno scrittore (io aggiungo, sarebbe ottimo anche per
un lettore) dovrebbe lavorare almeno per un periodo della sua vita in
una libreria, per comprendere certi meccanismi. Io l'ho fatto per
cinque anni, ed è stato illuminante.
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